Spesso nella vita è questione di cuore.
Per me, medico, parlare di cuore sembra facile. Potrei, di fatto, elencare tutte le interazioni tra la funzione cardiocircolatoria e le richieste che impone uno sport come il judo, tuttavia, a mio modo di vedere, sarebbe un esercizio sterile, non coglierebbe l’essenza del problema, non porterebbe a capire perché judo e cuore siano connessi da tante cose, da tanti fili, per tanti motivi.
Il cuore è una pompa che spinge in un circuito chiuso il sangue che si è caricato di ossigeno nei polmoni e va a nutrire le cellule del nostro corpo. E' un organo generoso che non si ferma fino alla fine dei nostri giorni e soddisfa le richieste di tutte le cellule. Nessuna fra queste, in nessun distretto corporeo, quando ne ha bisogno, rimane a bocca asciutta. Succedesse così anche in altri ambiti di questo mondo…
Per nutrire le cellule nel nostro organismo si organizza una sorta di scaletta: durante la digestione arriva più sangue all’apparato digerente e meno ad un distretto che, in quel momento sta a riposo; finita la digestione, all’apparato digerente di sangue ne arriva meno e si ha più disponibilità per altri distretti.
Il judo, nello svolgimento della sua azione motoria, attiva veramente tutti i gruppi muscolari, anche i più remoti, esigendo una richiesta circolatoria veramente organica e completa. Ma non solo questo.
Tutti sappiamo che, se ci alleniamo, la frequenza con cui il cuore batte si rallenta e ciò succede perché migliora la forza con cui il cuore spinge il sangue ad ogni suo battito.
Nel bilancio di tutti i distretti cellulari da irrorare, un ruolo fondamentale lo gioca la somma delle resistenze periferiche. Ce le dobbiamo immaginare come un gruppo di rubinetti posti alla fine delle nostre arterie. Ebbene, la resistenza complessiva di quei rubinetti deve essere vinta dalla forza che il cuore impiega per far arrivare il sangue fino all’ultima cellula periferica. Se i rubinetti sono mal funzionanti e non sono allenati allo sforzo, la pressione arteriosa sale ed il cuore si affatica.
Il judo, richiedendo al corpo di essere allo stesso tempo contratto e rilassato, pronto allo sforzo massimale ma apparentemente in quiete tonica, rende necessario lo sviluppo di un gran numero di vie che devono far affluire il sangue dappertutto. Si chiama capillarizzazione ed è caratteristica degli sport di fondo, come il ciclismo, la maratona. Il judo, che sport di fondo non è, la capillarizzazione la sviluppa ugualmente ed in modo molto efficace, senza rinunciare alle caratteristiche che lo rendono uno sport molto veloce e potente, dove l’azione consta del superbo interagire di muscoli, cuore e cervello.
Ed è proprio in questa sintesi che il rapporto tra judo e cuore si fa più stretto e si percepisce al di là del senso strettamente fisiologico, quasi filosofico.
Se il cuore, nel suo spingere l’ossigeno, è la pompa della vita, della vita è il primo organo a subirne le variazioni. Il cuore ci batte forte quando siamo innamorati ma anche quando stiamo perdendo l’amore. E lui ci segue nel nostro percorso, quale esso sia, portandosi sempre in una posizione di equilibrio. Gli orientali sintetizzano questo equilibrio dinamico nella lotta tra lo yin e lo yang. Noi declineremmo il concetto di equilibrio tra “i giorni si e quelli no”, tra la buona sorte e la cattiva, tra la salute e la malattia.
E cosa di più vicino all’insegnamento di questo gioco di forze è uno sport che insegna a mantenere sempre l’equilibrio, a sfruttare o indurre la perdita dell’equilibrio dell’avversario per vincerlo?!
Il judo ti insegna la vita e come la vita ha i suoi cicli.
Inizia con l’essere un gioco che i bambini adorano, vestendosi con il judogi, muovendosi a piedi nudi sul tatami, rotolandosi, facendo la lotta, imparando l’equilibrio, la coordinazione nel cadere, la motivazione per rialzarsi dopo le cadute, ma soprattutto che il contatto fisico non deve far paura ma è solo un mezzo per capire gli altri.
Poi si cresce e i bambini apprendono gradualmente le tecniche di combattimento, trasformando le prime esperienze acquisite in palestra in un gesto tecnico da velocizzare e migliorare nella sua efficacia. Ciò avviene trasferendo le informazioni in parti diverse del cervello che attivano nuove connessioni tra corteccia e cervelletto. Ebbene, tutte queste parti dovranno essere ipernutrite sempre dal nostro cuore.
Il judoka impara poi il potere della forza. Sembrerà più facile vincere se si è più forti ma, alla prima amara sconfitta, il Maestro ci farà capire che nel judo, essere più forti, spesso ti rende più vulnerabile se non hai equilibrio, se non senti il tuo avversario non solo con le mani ma con il cuore.
E poi, anno dopo anno, si diventa grandi e non sarà più la gara, la competizione a farci gola, ma ci soffermeremo sulla bellezza del gesto, sulla sua forma. Quando non basterà più la forza, sarà veramente il momento di mettersi a studiare il judo, in tutte le sue espressioni. Si aprirà così un mondo, quello dei kata, in cui il nostro avversario diventerà, ancor più profondamente, nostro compagno. Il gioco delle prese, delle spinte e delle trazioni reciproche si fonderà in un movimento unico ed armonico. Sarà bello farlo, sarà bello vederlo, sarà bello ricordarlo.
Capiremo come le cose belle della vita si fanno insieme a qualcun altro e, forse, questo sarà il dono più grande che questo magnifico sport ci potrà regalare.
Dr. Andrea Silvestroni
Spec. Angiologia e Medicina dl lavoro - Judoka
asilvestroni@impra.191.it
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