Il termine judo indica il sistema di combattimento basato sui principi delle antiche scuole di jujutsu (), codificato da Kano Jigoro.
Comunemente tradotto “la Via della cedevolezza”, per distinguerlo dal jujutsu che viene tradotto “l’Arte (puramente tecnica) della cedevolezza”, il termine è composto da due ideogrammi:
Ora, la lettura della lingua giapponese avviene attraverso due tipi di sistemi:
che leggiamo Ju nella sua lettura “on”, ma che si legge yawa(na) nella lettura “kun”, è un aggettivo che significa “tenero, morbido”.
Etimologicamente è composto da due radicali:
Questa scomposizione dell'ideogramma porta a due chiavi interpretative dell'etimo:
Quindi il senso di “cedevolezza” assume il valore positivo di “adattabilità”, la capacità di armonizzarsi a seconda delle circostanze: essere più yin quando il mio avversario usa la forza ed essere più yang quando il mio avversario è troppo passivo.
Personalmente protendo per la seconda teoria, pertanto mi piace tradurre judo come la “Via dell’Adattabilità” più che della “cedevolezza”.
che leggiamo Do nella sua lettura “on”, ma che si legge michi nella lettura “kun”.
In entrambi i casi significa “via, strada”, con la differenza essenziale che, letto Do (trasformazione fonetica dal cinese tao) mantiene una valenza filosofica, ovvero la “Via” nel senso di “percorso interiore”. Ad esempio, la “Via” per raggiungere l’Illuminazione.
Letto michi, in lettura kun, indica invece la “strada” fisica, come le vie di una città.
Si potrebbe proseguire su una spiegazione dettagliata del concetto di Do, e del perché è così importante in Giappone e quindi compone la maggior parte dei nomi di discipline importanti quali, oltre al judo, l’aikido, lo shodo (arte della calligrafia), il chado (la cerimonia del thé) ecc. ma la rimandiamo ad altra occasione, per non allontanarci dall’analisi etimologica del termine judo.
Anche questo ideogramma è composto da due radicali:
A sua volta è composto da che si legge mizukara che significa “se stesso” ma l’etimo profondo è qualcosa che ha a che fare con “gli occhi che puntano”.
Mentre il radicale superiore è la semplificazione di , kusa, “erba” nell’estensione di “qualcosa che cresce”.
Quindi si può interpretare come ciò che “cresce sopra gli occhi”, oppure, in senso più filosofico, ciò che cresce, si sviluppa, grazie alla percezione che abbiamo del mondo. Una sorta di unione tra il “se” più spirituale e la “mente”.
Quindi l’intero ideogramma Do può essere interpretato come “l’avanzare, il cammino del sè e della mente”.
Dr. Daniele Petrella. Ph.D.
International Research Institute for Archaeology and Ethnology
Presidente
Dottore di Ricerca in Lingue e Civiltà Orientali con indirizzo Giappone
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