Il judo adattato agli amputati di arto inferiore

Spunti di riflessione di un Maestro medico

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L’acqua scorre per raggiungere un livello equilibrato.
Non ha forma propria, ma prende quella del recipiente che la contiene.
È indomabile e penetra ovunque.
È permanente ed eterna come lo spazio e il tempo.
Invisibile allo stato di vapore,
ha tuttavia la potenza di spaccare la crosta della terra.
Solidificata in un ghiacciaio, ha la durezza della roccia.
Rende innumerevoli servigi e la sua utilità non ha limiti.
Eccola, turbinante nelle cascate del Niagara,
calma nella superficie di un lago,
minacciosa in un torrente
o dissetante in una fresca sorgente scoperta un giorno d’estate.
Questo è il principio del judo.

Gunji Koizumi
 

Noi tutti judoka conosciamo questa famosa poesia del grande maestro Koizumi, che ci ha fatto tante volte riflettere sulla nostra disciplina.

Da due anni mi interesso di insegnare il judo ai giovani universitari e liceali che non hanno interesse ad intraprendere una carriera agonistica e ricercano nella pratica una forma di educazione fisica e di difesa personale. La mia esperienza judoistica fonda su una base fortemente agonistica, che mi ha sempre fatto diffidare di chi interpretava il judo a livello amatoriale; la vita però con il tempo mi ha insegnato che non siamo tutti uguali e ognuno ha bisogno dei propri spazi.

In palestra ho un ragazzo di 22 anni che praticava judo dall’età di 10 anni. Questi, nell’estate del 2015, a causa di un incidente motociclistico, ha perso il piede sinistro.

Sono stato coinvolto nella vicenda anche da un punto di vista medico, poiché mi occupo professionalmente anche del trattamento delle grandi ferite presso il servizio di camera iperbarica e medicazioni avanzate della Facoltà di Medicina dell’Università Federico II di Napoli.

Avendo raggiunto un buon risultato medico nella rivascolarizzazione degli innesti cutanei eseguiti, incominciai ad accarezzare l’idea di riportarlo sul tatami, spinto dalla forte motivazione del ragazzo.

Al ragazzo, per questioni mediche riabilitative, era stato preliminarmente prescritto il nuoto, che però non lo stimolava nè gratificava, così decisi di riportarlo in palestra e di fargli praticare di nuovo il judo.

Oggi veste una protesi in materiale plastico al posto del piede mancante e la indossa come se fosse un calzino.

Molti potrebbero chiedersi: “come si possono eseguire delle tecniche senza avere un piede?” La risposta è semplice. Il judo, nella sua complessità, ha il meraviglioso pregio di potersi adattare e poter essere adattato a mille situazioni, anche quelle che inizialmente sembrerebbero inaccessibili. 

A distanza di quattro mesi, il ragazzo non ha mancato una lezione ed è sempre più entusiasta e soddisfatto dei risultati ottenuti.

Non sussistono inoltre problematiche di idoneità all’attività sportiva poiché è sufficiente la certificazione medica per attività amatoriale.

Come spesso accade nelle vita, le paure come i limiti sono spesso soltanto un’illusione.

Dr. Giovanni Vivona

 

scritto il 20 dic 2016
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