Karibu in Malindi

Judo, colori e fango

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Sobbalzando all’interno del tuk-tuk procediamo lungo le strade in fermento. Pullman, macchine, moto, matatu, biciclette e carretti carichi di merci ci passano a fianco e intasano le caotiche vie della città. Sporgendosi dal finestrino e’ impossibile restare impassibili innanzi agli scenari che ci circondano, dai colori accesi di un abito, al fango che sostituisce i marciapiedi a lato della strada; dalle urla di chi cerca di richiamare la tua attenzione, al silenzio di uno sguardo che ti osserva, dal dolce profumo delle pannocchie arrostite, all’odore acre del bestiame che razzola tra la spazzatura.

Tutto risveglia i nostri sensi e, come la calda aria della città ci investe lasciandoci senza fiato, così un’ondata di nuove sensazioni ci travolge.

Una voce interrompe il nostro assorto silenzio “Karibu in Malindi, Benvenute a Malindi”.

Spostiamo lo sguardo sull’edificio a lato della strada e, circondato dal filo spinato che protegge la struttura, finalmente leggiamo l’insegna “JUDO CLUB MALINDI”.

Scendiamo dal tuk-tuk ed entriamo. Varcata la soglia, ci sediamo sulle panche vicino al tatami sotto una fila di judogi logori e sporchi di terra. Sulla materassina i giovani judoka svolgono la lezione con i maestri Mik Tole, James Mashobu e Celso Mazzola. Ad accoglierci arriva il maestro Alfredo Vismara fondatore del dojo keniota. In seguito alle presentazioni non stiamo più nella pelle dalla curiosità così gli chiediamo di raccontare la storia di questa realtà a noi così estranea.

La palestra nacque nel 2002 in seguito ad un viaggio in Malindi. Allora restai colpito dalle misere condizioni di vita dei giovani e dalla povertà che caratterizza l’intero paese, decisi perciò di fondare un dojo in cui insegnare gratuitamente il judo e contribuire al miglioramento della società trasmettendone i suoi valori.

Forte dell’idea che la pratica di tale disciplina fosse uno strumento utile alla formazione dell’individuo nella sua globalità e che, proprio all’interno di questo ambito culturale, avrebbe potuto trovare la sua massima espressione, mi adoperai per la ricerca di ulteriori sostenitori dell’iniziativa.

Grazie al coinvolgimento del Rotari club Malindi, l’Associazione Amici del judo e alcuni privati che si presero a cuore la causa, il progetto prese vita. Assieme riuscimmo a superare alcuni dei numerosi ostacoli, dai più comuni come la ricerca di uno spazio adatto alla pratica del judo a quelli più insoliti come la concessione di un permesso per poter insegnare gratuitamente in quanto stranieri o all’invio di judogi e materiale dall’Italia senza dover pagare esorbitanti tasse doganali imposte senza criterio (problema tutt’ora irrisolto).

Gli obiettivi che ci fissammo, e ai quali attualmente l’associazione ambisce, non furono soltanto la diffusione della pratica di uno sport e dei suoi valori, ma anche quelli di poter sostenere parallelamente un percorso di studio o di crescita professionale.

Nel corso dei primi anni, quando gli aiuti economici erano maggiori, ad alcuni giovani, selezionati in base alla loro necessità, impegno e rendimento, venne data l’opportunità di intraprendere una carriera scolastica, altrimenti impossibile, fino al raggiungimento della laurea.

Altre opportunità si aprirono anche ad alcuni dei primi praticanti che successivamente si dedicarono all’insegnamento e che, attualmente, ritrovano nel judo oltre che una passione anche un lavoro onesto.

Da alcuni anni a questa parte la palestra è diventata anche possibilità di crescita professionale per gli ascari (guardiani notturni di palazzi). Ogni mattina alle 8, finito il turno di lavoro, un bel gruppo di ragazzi si presenta sul tatami per allenarsi. Grazie alla loro competenza nel judo sono considerati più preparati e adatti al ruolo di ascaro e hanno maggiore possibilità di essere assunti.

Purtroppo il loro entusiasmo e volontà di partecipare a competizioni, in cui avrebbero la possibilità di vincere premi in denaro, vengono spesso frenati a causa di mancanza di fondi che permetterebbero di pagare una parte delle trasferte.”

Finito il discorso ci alziamo in piedi per ascoltare le promesse che i ragazzi dichiarano in swaili prima del saluto al termine della lezione: il Dojo Kun.

Salutiamo i maestri e gli atleti e poi usciamo dalla palestra. Decidiamo di percorrere a piedi la strada fino a casa e ci riscontriamo subito con la realtà delle strade del Malindi: i piedi scalzi dei bambini che corrono nel fango, le montagne di rifiuti ai lati della strada, le persone che vivono un’esistenza instabile come i pali che sorreggono i tetti delle loro abitazioni In questo contesto la palestra di Judo ci appare come la guida che ti indica una strada più sicura all’interno di una realtà così incerta.

A volte, praticando il judo nella quotidianità, ci dimentichiamo della sua potenza educativa, dei valori che questo sport può trasmettere e che un vero judoka è colui che applica l’arte del judo anche al di fuori del tatami, cercando di essere di aiuto al prossimo.

Sonia Arduini

Anna Bartole

scritto il 27 set 2017
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