Persona ed atleta

Film di una vittoria

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Racchiudere in poche battute il percorso e il senso della conquista di un titolo Mondiale per un atleta di qualsiasi sport, di qualsiasi età e, nel nostro caso, di judo, non e’ cosa facile.

ll podio, la commozione durante l’inno Nazionale, lo sguardo rivolto al cielo. Immagine di vittoria di un istante.

Ma se fosse possibile proiettare il film completo di quella vittoria? Se fosse mai possibile, proprio in quel momento, riavvolgere daccapo la pellicola, cosa vedremmo di quell’atleta? Cosa racconterebbe di sé quella vittoria? 

Sacrifici, stanchezza, costanza, delusioni, impegno, rinunce, sconfitte. Si, tutto vero, tuttavia, piu’ profondamente, cosa c’è dietro a tutte queste parole?

Prima di tutto c’è la persona, poi l’atleta. C’è l’essere umano, con tutte le sue forze e le sue debolezze. C’è il figlio, il marito, il fidanzato, il padre che ogni giorno lascia una parte di sé in quello che fa, che lascia un pezzetto della sua vita in una corsa, in un caduta, in un combattimento.

C’è la persona che piange di nascosto perché è stanca, che litiga con il partner perché non andrà a quella festa, che si arrabbia perché non si sente capito o supportato, che perde e non lo accetta, che ha gli studi da terminare o un progetto da presentare e non sa quando potrà farlo. C’è la persona con tutte le emozioni, con le preoccupazioni comuni a tutti noi.

E, poi c’è l’atleta.

L’atleta che viaggia con la borsa in macchina come se fosse acqua (impossibile non bere); l’atleta che pretende a volte l’impossibile dal proprio corpo, l’atleta che è stanco e che non può fermarsi perché il programma prevede quella seduta di allenamento, l’atleta che conta le calorie, l’atleta che conta le pulsazioni, l’atleta che conta i chili che solleva e quelli che dovrà sollevare, l’atleta che si allena con il freddo pungente o con il caldo debilitante, l’atleta orientato al compito o alla prestazione, l’atleta che quel giorno lotta per piazzarsi. L’atleta che ha maturato esperienza, che ha innalzato le sue “barriere”, che vuole essere competitivo, che vuole vincere, che vuole il suo risultato. L’atleta che, di fronte alla sconfitta, si arrabbia, si isola, a volte …si ferma, travolto dalla vanificazione di mesi di fatica, di dolori, di impegno.

La persona, dentro, prova delusione, prova amarezza, non ci vuole credere, non lo accetta, pensa: “ sono forte, ho le qualità per …” e perché è successo? Perché proprio  adesso? Perché oggi? Ogni sua umana debolezza, come è giusto che sia, ha il sopravvento. Chi pensa a questo quando sorride sul podio?

L’atleta, fuori, accenna un’espressione di dispiacere, si rende conto dell’errore, si ripromette di allenarsi ancora di più, di dare a fondo a tutte le sue energie, per tornare presto a competere a vincere. Rientra a casa, pochi giorni di riposo e poi via tutto ricomincia.

(La pellicola continua ad andare indietro...). Si vede ora quante volte la persona ha ceduto, ha detto: “basta, voglio vivere come gli altri!” per poi ripartire. Si vede quante volte la persona ha abbracciato i suoi genitori, amici, figli, per andare in viaggio pensando che in quei stessi giorni non potrà stare con loro, e pensa, “chi potrà restituirmi questo tempo?”, la persona che parte cercando di perdonarsi.

La persona che accetta tutto questo, accetta di perdere per conquistare, accetta di mancare in qualcosa per prendere in altro, la persona che sceglie quello che tanti non condividono e di cui va fiero. La persona che si domanda se non ci sia una via migliore per provare tutte quelle emozioni e che allo stesso tempo non può farne a meno. La persona che è viva e vive dentro l’atleta.

E, sulla pista, su una pedana, sul tatami, la pellicola ci mostra infine l’atleta che ha perso tanti incontri, che ha dovuto rinunciare ad una vittoria per cercarne altre, che ha deciso di proseguire, che ha imparato a caro prezzo ad esser sordo alle voci di critica, alle aspettative degli altri.

L’atleta che non può ascoltare come vorrebbe il suo corpo che chiede riposo, perché è là che vuole arrivare, a quel giorno. Si vede l’atleta che ha capito cosa è successo in quei giorni in cui nulla è andato bene, che ha controllato e direzionato nuove energie verso altro obiettivo; l’atleta che ha dato fondo a tutto perché a quel gradino del Mondiale non vuole rinunciare.

L’atleta che capisce che il dialogo tra persona e atleta non si può frenare, è forte, è vero, è costante; l’atleta che ha capito di dover dialogare e prendere per mano la sua persona, rassicurandola, perché alla fine è solo unendo le loro forze che tutto può esser meno complicato, tutto può arrivare.  

Un podio, un titolo e il campione che si distingue dal quasi campione, perché è solo lui che per tutto il suo film non ha mai smesso di riconoscere e amare la persona e l’atleta che sono in lui.

Loredana Borgogno

 

scritto il 04 ott 2017
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