Sogno di un judoka viaggiatore

L'esperienza del Kodokan di Tokyo

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L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso”: Con questa frase Anne Carson, poetessa canadese, riesce a comunicarci perfettamente il senso del girare il mondo viaggiando. 

Il judoka viaggiatore ha senza alcun dubbio come sogno nel cassetto quello di andare almeno una volta in Giappone, la patria del judo. Come a volte accade i sogni spesso e volentieri si avverano, e quindi eccomi qui, a rendervi partecipi della mia personale esperienza di viaggio nella terra del sol levante, ovviamente raccontata con gli occhi di un judoka.

Ho avuto la fortuna di intraprendere questo indimenticabile viaggio lo scorso Settembre (2016 ndr), insieme ad altri due miei compagni di allenamento e amanti di questa disciplina. Tokyo è stata la nostra sede principale, il nostro intento era quello di andare più volte al Kodokan Institute e così difatti è stato: judogi in spalla e via verso il quartier generale del judo, lì dove tutto è incominciato nel lontano 1882.

Arriviamo di fronte all’edificio e la prima cosa che cattura subito la nostra attenzione è la statua del Maestro Jigoro Kano. L’effigie è rivolta verso la strada e la cosa incredibile è vedere la quantità di persone che passando lì davanti puntualmente si fermano, fanno un inchino al Maestro, e poi tornano a fare quello che stavano facendo pocanzi. Probabilmente molte di quelle persone erano o sono ancora judoka praticanti, altre magari conoscono semplicemente la storia di Jigoro Kano, fatto sta che tutti quanti mostrano grande rispetto e ammirazione per un uomo che ha contribuito ad arricchire la loro storia, la loro cultura, e ha permesso che questa disciplina approdasse anche all’estero facendola diventare quello che è oggi: uno sport praticato in tutto il mondo.

La prima cosa che mi ha colpito appena sono entrato all’interno del Kodokan era la sensazione di quiete reverenziale che si percepiva: un’atmosfera quasi surreale, un senso di pace assoluta che ti coinvolgeva appieno facendoti dimenticare di tutto quanto il resto.

L’edificio si sviluppa su otto piani, le aree destinate alla pratica del judo sono quelle situate nei piani più alti, mentre nei piani inferiori si trovano i dormitori, le aree di ristoro, le sale per le conferenze, un museo, una biblioteca e un piccolo negozio. Il museo è dedicato principalmente al maestro Jigoro Kano e in generale alla storia del Kodokan: la fondazione, la sua evoluzione negli anni, gli eventi storici che lo hanno coinvolto. Le varie sale ospitano tantissimi reperti, foto dell’epoca, cimeli e oggetti di ogni tipo appartenuti al Prof. Kano. Si tratta di un vero e proprio salto nel passato, un’occasione unica per venire a conoscenza di tanti particolari che non si possono leggere ne’ su internet e neppure sui libri.

Gli allenamenti serali, ai quali abbiamo preso parte, sono stati sicuramente l’esperienza più entusiasmante che ho avuto modo di vivere in quelle due settimane. Una volta indossato il judogi bisognava raggiungere il settimo piano, lì è situata l’area destinata agli atleti che praticano agonismo e quella accessibile a chi, come noi, voleva prender parte all’allenamento. Per raggiungere il piano ci muovevamo salendo le scale e camminando scalzi sul parquet che ricopre tutti i piani dal quarto fino al settimo. La sensazione così piacevole di camminare su quelle superfici lisce, l’odore del legno che ti inebriava le narici, sono tutti ricordi che conservo ancora nitidissimi nella mente

Muovendomi da un piano all’altro incrocio praticanti di tutte le età, dai piccoli judoka in erba, agli atleti agonisti, fino agli anziani di oltre settant’anni che ancora vantano una forma fisica strepitosa. La cosa che percepivo in tutte queste persone, negli anziani sopratutto, era la gioia e l’orgoglio nel vedere che persone come noi partivano dall’altra parte del mondo per venire lì, al Kodokan, a trovare loro, con l’intenzione di assaporare almeno un briciolo di quella bellissima atmosfera, della sapienza e di quella filosofia che solo in un posto del genere si possono trovare.

Il momento in cui sono arrivato di fronte all’enorme tatami sul quale mi sarei dovuto allenare ho avuto un brivido, una sensazione bellissima e travolgente allo stesso tempo. Lo ricordo bene come fosse ieri: entro e mi trovo di fronte a quell’ambiente così grande, uno spazio incredibilmente ampio ma allo stesso tempo confortevole, caldo, accogliente. La cosa che mi ha colpito di un luogo con tali dimensioni era la semplicità e la sobrietà dell’arredamento, essenziale e assolutamente funzionale allo scopo per cui è stato creato.

Essere lì su quel tatami è qualcosa di unico: nell’esatto momento in cui sali sopra incominci a sentire sotto i tuoi piedi le vibrazioni provocate dalle cadute degli altri judoka, senti il rumore dei piedi che si muovono e strusciano sul tappeto, ti immergi in un mondo a se stante ed entri così a far parte di un meccanismo assolutamente perfetto fatto di pratica e condivisione con altre persone che coltivano la tua stessa passione. Quando ti trovi lì non puoi fare a meno di pensare che su quella stessa superficie ci sono saliti tutti i più grandi judoka della storia, e allora ti senti ancora più fortunato ed onorato, e il tuo obiettivo diventa prima di tutto quello di far tesoro di quell’esperienza cercando di apprendere quanto più possibile nel tempo che hai a disposizione.

La pratica del judo con i judoka locali è qualcosa di totalmente diverso da quello che si può provare in qualsiasi altra palestra che non sia giapponese. Quando mi sono confrontato per la prima volta con un judoka del Kodokan ho constatato sulla mia pelle una verità che probabilmente già sapevo, ma che non riuscivo comunque ad immaginare: non esiste un solo modo di fare judo, o meglio, esistono tantissimi tipi di approcci diversi alla pratica di questa disciplina e alcuni, me ne rendo conto solo dopo questa esperienza, vengono spesso e volentieri trascurati dalle scuole di altre Nazioni. La pratica del judo (e i judoka giapponesi in questo sono maestri) è innanzitutto una condivisione: una condivisione di esperienze, di conoscenze, di punti di vista. Lo stesso randori è assimilabile ad uno scambio di opinioni tra i due praticanti, un confronto non verbale ma basato semplicemente sull’osservazione reciproca e sullo studio degli altri judoka. Tutta la pratica del judo in sostanza è concepita secondo la filosofia del ji-ta-kyo-ei, ovvero “noi e gli altri insieme per progredire”, uno degli aforismi più famosi di Jigoro Kano e in assoluto uno dei pilastri che formano le basi di questa disciplina sportiva.

Un altro aspetto affascinante di questo sport è la possibilità di confrontarsi con atleti di tutto il mondo, e questo è possibile grazie all’enorme diffusione che questa disciplina ha avuto sopratutto negli ultimi decenni. Ovviamente a meno che tu non sia un atleta di ottimo livello che viaggia appositamente per gareggiare anche all’estero, saranno rare le occasioni per avere questo tipo di confronti, ed è per questo che il Kodokan rappresenta una grande opportunità anche sotto questo punto di vista. L’istituto dove è nato il judo è una sorta di mito per qualsiasi praticante e se avrete modo di allenarvici scoprirete che saranno tantissimi gli atleti provenienti da ogni parte del mondo accorsi come voi per vivere quest’esperienza. A me personalmente è capitato di fare la conoscenza di atleti americani, spagnoli, francesi e persino libanesi, e raccogliere i loro punti di vista e confrontarmi con loro è stato qualcosa di impareggiabile.

Nel corso di quella che è stata la mia ultima visita presso l’istituto del Kodokan ho anche avuto modo di assistere ad una lezione riservata ai piccoli judoka al loro primo anno di pratica. Lo spettacolo era incantevole e ipnotico: una schiera di piccoli bambini divertiti ed entusiasti di essere lì tutti insieme, ma che al tempo stesso riuscivano a svolgere gli esercizi in modo assolutamente disciplinato e composto. I maestri dal canto loro impersonavano una perfetta figura genitoriale, riuscivano a trovare l’equilibrio tra un papà affettuoso disponibile al gioco e la figura di un insegnante severo, inflessibile ma anche giusto.

L’esperienza judoistica in Giappone non termina poi certamente con la sola visita del Kodokan. Il judo è uno degli sport più popolari e praticati in questo paese e ovunque possiamo trovare palestre, licei, università, accademie specializzate; tutti luoghi dove in molti casi basterà la semplice cortesia per vedersi aprire le porte di qualsiasi dojo.

Un viaggio in Giappone può anche essere la giusta occasione qualora volessimo acquistare un bel judogi professionale fabbricato direttamente in terra nipponica (esistono tante marche di judogi di ottima qualità, quelli giapponesi sono notoriamente tra i migliori in circolazione). Io ed i miei compagni per esempio abbiamo avuto modo di visitare la fabbrica del KuSakura, ad Osaka. Anche in questo contesto siamo stati accolti molto calorosamente dai responsabili della struttura che si sono dimostrati ben disponibili a mostrarci tutte le tipologie di judogi che producevano lì al quartier generale: un’altra occasione in cui la gentilezza tipica del loro popolo, e sopratutto di chi fa delle arti marziali il proprio stile di vita, non ha tardato a manifestarsi, ed è stato così che siamo tornati a Tokyo con due splendidi judogi appena usciti dalla fabbrica e con tanto di prezzo speciale dedicato a noi, che li avevamo semplicemente onorati con quella visita.

Questi sono solo alcuni dei numerosi ricordi e delle sensazioni che ho vissuto grazie a questa esperienza. Una cosa però è certa: questo viaggio mi ha cambiato, mi ha aperto la mente e mi ha sicuramente arricchito, sopratutto in ambito judoistico. Posso dire quindi, con assoluta certezza, di aver rispettato l’unica regola secondo Anne Carson: Sono tornato diverso!

Matteo Angelucci

Dr. in Lettere - Specializzando in Editoria e Giornalismo

scritto il 30 gen 2017
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