Sono un educatore e un padre con tanti dubbi e poche certezze. Chiunque abbia la mia età (41) si è certamente già trovato ad affrontare la fatidica scelta tra il sapere e il non sapere, generalmente per ciò che riguarda questioni di salute dei propri cari.
Meglio ufficializzare un problema e cercare di porvi rimedio o trascurare la notizia, abbandonandosi così alla deriva fatale della vita? Quesito delicato, intimo, personalissimo.
Io ho sempre voluto sapere. La mia forza risolutiva ha sempre prevalso sulle teorie sul fato.
Rispetto chi preferisce rimanere nel dubbio, magari per un genitore molto anziano per il quale una trafila clinica o un accanimento terapeutico risulterebbero tardivi o inutili, ma per un bimbo è diverso.
Ogni anno sportivo, i miglioramenti tangibili li ottengono proprio i piccoli judoka "speciali" che sono seguiti da un piano didattico personalizzato tagliato ad arte da una squadra di professionisti dell'infanzia (scuola, neuropsichiatra infantile, maestro di judo, psicomotricista). "Ad ogni atleta il proprio allenamento!".
Per contro, i genitori che si ostinano a richiedere un percorso educativo ordinario, pur dinanzi ad un evidente disagio del proprio bimbo, magari sentendosi giustificati dal timore dall'etichetta sociale, devono capire che le loro paure devono lasciare il posto all'alta probabilità che il problema possa gradualmente essere risolto o comunque essere gestito al meglio.
L'inclusione non è un gioco, è un obbiettivo che si raggiunge con metodo. Quel metodo passa per l'"ascolto" del bambino, delle sue necessità, che non sempre si coniugano con un lavoro di gruppo.
L'inclusione non è la vittoria di una tappa, è la vittoria del giro d'Italia.
Fabio Della Moglie
Formazione culturale, costruzione dell'etica, senso sociale
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Resilienza e durezza mentale