Etimologia di Randori

Dall'etimo dei kanji al significato profondo del judo

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Etimologia di Randori

Con il termine Randori () si suole indicare una sorta di “combattimento libero”, che si distingue dal rigore e dalla formalità dell’esecuzione di tecniche prestabilite (kata).

Il termine RANDORI si compone di due ideogrammi, RAN e DORI. Partiamo dal secondo:

DORI è la sonorizzazione di tori (). La D diventa T quando il termine viene accostato ad un’altra parola. Tori è il sostantivo del verbo toru () “prendere”, pertanto tori/dori  significa “presa”.

RAN (), pronunciato nella sua lettura on (ovvero quella sino-giapponese), significa “rivolta”, “ribellione”, “guerra”, “disordine”.

Nella sua lettura kun (prettamente giapponese), il significato non si discosta molto. Infatti si leggerebbe midaru () o midasu (), un verbo che significa “mettere in disordine”, “disturbare”, “agitare”, “sconvolgere (la mente)”.

È interessante notare che il kanji è composto da due radicali:

  • il primo si legge shita () e significa “lingua”, in questo caso inteso come il “parlare”, “metter lingua”, che ha il valore del nostro “metter bocca”;
  • il secondo, otsu (), sta per “secondo”, “ultimo”; quasi a voler identificare la confusione che si crea se i dialoganti fanno di tutto per avere entrambi l’ultima parola su un’argomentazione.

Quindi il significato etimologico può essere “prendere il controllo di un contrasto verbale ingenerato dal mancato rispetto delle regole di un dialogo, ma anche “prese disordinate”, “prese senza regole”.

Filosoficamente, indica una riduzione alla quiete di un sistema caotico. Un contrasto che richiama ciò che l’atleta vede all’esterno e ciò che, ordinatamente, il suo spirito dovrebbe compiere nell’affrontare quell’esperienza: ricercare l’ippon, liberare il corpo, renderlo creativo, stemperare le paure connesse all’attribuzione di un punteggio, bandire tattiche ed ostruzionismi tipici della gara che sono da ostacolo alla miglior gestione della propria energia (seiryokuzenyo), al confronto costruttivo, al reciproco miglioramento ed al concetto di altruità (Jitakyoei).

Nel budo il termine per identificare il combattimento libero è jiyuwaza (), che letteralmente si traduce per l’appunto “tecnica (waza) libera (jiyu)”, dove jiyu sta per “libertà”.

Oggi, ad esempio nell’aikido, si usano entrambi i termini con il seguente significato:

- Jiyuwaza: identifica l’allenamento in cui, stabilito un attacco, si può utilizzare qualsiasi tecnica o principio.

- Randori: identifica l’allenamento in cui, sia gli attacchi che le tecniche utilizzate sono liberi.

 

Dr. Daniele Petrella. Ph.D.
International Research Institute for Archaeology and Ethnology
Presidente
Dottore di Ricerca in Lingue e Civiltà Orientali con indirizzo Giappone
Curriculum Storico Archeologico

 

scritto il 03 feb 2017
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