Il Judo/gioco è un metodo educativo che si propone di porgere al bambino gli strumenti di formazione delle sue capacità coordinative e personologiche, attraverso un percorso di esperienze ludico-motorie calate nella propedeutica, nelle dinamiche e nei principi disciplinari del judo.
Si rivolge ai bambini della scuola dell’infanzia, considerato che dai 6/7 anni in poi l’attività motoria tende gradualmente ad assumere una connotazione finalizzata alla costruzione di schemi motori strumentali alla prestazione sportiva.
Condividendo con la pratica psicomotoria lo scopo formativo e/o rieducativo del profilo emozionale, affettivo e relazionale del bambino che si realizza attraverso il piacere del movimento, il judo/gioco si avvale di una didattica che utilizza principalmente l’interazione corpo a corpo come amplificatore della comunicazione non verbale determinata dalla distanza intima di confronto (intimate space).
Attraverso il contatto fisico, il bambino affronta un processo di conoscenza anatomica del proprio corpo e di quello dei compagni che si congiunge alla percezione dei profili emozionali legati al tatto ed alla prossimità. La rottura della distanza detona i processi socio-relazionali ed affettivi, determinando il superamento del senso di imbarazzo, di introversione, di opposizione provocatoria, a beneficio del senso di autostima, ridimensionamento e controllo.
Dinanzi ad una spinta, ad uno squilibrio, al timore del confronto fisico, il corpo non mente e l’atteggiamento lascia il posto alla sincerità.
La forza e le modalità della pressione delle mani, la postura, le ritrosie o l’aggressività, le vibrazioni corporee, le tensioni o i rilasciamenti muscolari si allacciano alle risposte fisiologiche e cardiovascolari del bambino, fornendo un quadro istantaneo e veritiero delle sue inclinazioni, delle paure, dei punti di forza e di debolezza, dando modo al Maestro di adottare i correttivi o i facilitatori (potenziamento schemi motori di base, disciplina, interazione, controllo, significato dei ruoli e della responsabilità, premio e sconfitta), che lo accompagnino gradualmente e naturalmente in un percorso di valorizzazione delle sue capacità e di rielaborazione costruttiva del malessere psicofisico.
Un cammino che inizia sul tatami e si perfeziona nel dialogo costante con i genitori (ed ove occorra con lo psicologo), chiamati, se necessario, a partecipare in prima persona alle lezioni allo scopo di rendere più serena la fase dell’inserimento.
Il lavoro di osservazione del Maestro prosegue oltre gli schemi di lotta, volgendo ad inquadrare le reazioni che il bambino pone in essere anche nelle dinamiche di gruppo, nella risposte alla regola, alle sollecitazioni, alla dimensione competitiva, analizzandole in un procedimento di effetto/causa che le ricollega al grado di percezione del suo vissuto (serenità familiare, equilibrio relazionale, assenza quali/quantitativa di uno e/o due genitori, presenza di sostituti, mancanza di autorità, violenza verbale o fisica domestica, traumi, disagi legati alla percezione di genere sessuale etc.).
Il judo/gioco è dunque la cartina al tornasole dell’intimità del bambino, il microfono del suo mondo interiore. È un orecchio sul suo cuore, la risposta ad una richiesta inespressa di esibizione e/o di aiuto. L’occasione per vestire in kimono la sua crescita psicomotoria.
Fabio Della Moglie
Le regole del dojo
Dall'opera del fondatore alle olimpiadi nipponiche
Rapporto, elaborazione e gestione emotiva