All’inizio del corrente mese di marzo 2018 sono stato invitato al CUS Siena per tenere una relazione sul rapporto tra il judo e la comunicazione, nonche’ sull’approccio didattico adottato con il metodo EducaJudo nei confronti dei bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento, del comportamento e del neurosviluppo. In quella sede, ho posto l’accento su come sia importante che il Maestro sappia dapprima riconoscere gli indicatori e le problematiche connesse ad un diverso modo di apprendere del bambino, per poi adottare le strategie d’intervento calzate sulle specifiche peculiarita’ del piccolo.
Ebbene, durante il corso della discussione, intercetto il particolare coinvolgimento emotivo di una mamma. La stessa, svuotata l’aula, si abbandona al pianto e mi racconta di se stessa, del suo problema, delle sue rivincite, delle sue prospettive, dell’importanza di incontrare un insegnante che non giudichi ma che semplicemente sia in grado di porgere al bambino gli strumenti per il successo.
Queste le parole di quella mamma, buttate su carta nella speranza di poter essere di aiuto e di conforto per qualcuno…
Quando ci chiedono se facciamo corsi collettivi, rispondiamo "No, facciamo individuali in gruppo!"
(Fabio Della Moglie)
Devo dire che quando ho sentito parlare di insegnamento a misura di ciascun bambino sono sobbalzata sulla sedia, tutte le mie emozioni sono entrate in gioco in modo impetuoso, come stanno facendo anche in questo momento.
(Per farti capire, ti faccio un esempio pratico della mia vita vissuta. Esame di matematica:
voto scritto 13, Voto orale 30 e lode, Media e voto finale 22. Nella vita la media non si fa.
È come avere i piedi su due rette parallele, poste su piani diversi. Ti senti sempre zoppo e, da questa zoppia nasce una forte frustrazione ed insoddisfazione verso se stessi e gli altri).
Desidero raccontarti il mio piccolo incidente domestico, non per tediarti, ma per farti capire altri sentimenti/ emozioni non ancora affrontati:
ORGOGLIO
RIVALSA
RIVENDICAZIONE.
Stavo aiutando mia figlia, Adelaide di 8 anni, a fare i compiti di preparazione per la verifica di inglese con l’insegnante madrelingua. La maestra aveva inviato un messaggio vocale wz con una serie di parole da far riscrivere ai bambini sotto dettatura. La stessa lista di parole era scritta sul quaderno, ma l’ordine delle parole non corrispondeva. Per correggere il dettato ho impiegato un bel po’ di tempo, avevo la difficoltà di rintracciare le parole, in più la difficoltà di controllare l’ortografia. Mia figlia (impaziente di natura e, in quel momento, svogliata) ha iniziato a lamentarsi del fatto che impiegavo troppo tempo per un’operazione tutto sommato facile.
Io in quel momento ero in ansia per le tante cose che dovevo fare, fortemente frustrata per il fatto di non conoscere l’inglese (nonostante tutti gli sforzi fatti per impararlo), frustrata per la fatica che facevo nello svolgere un compito così facile… ho perso la ragione.
Io che non amo urlare, tanto più con mia figlia, ho iniziato a gridare, ho continuato anche dopo che mio marito ha provato a calmarmi. Di tutto ciò che è uscito dalla mia bocca ricordo poco. Ricordo di aver detto che il mio problema mi ha rovinato la vita perché mi ha ostacolato nella mia realizzazione lavorativa e che, per tanti anni, mi ha ostacolato anche nel realizzarmi come donna e madre. Ho continuato dicendo che: “non voglio, ma che esigo rispetto per come sono e per le mie difficoltà”.
Non avrei dovuto reagire così con mia figlia, le avrei dovuto parlare con calma ed apertamente come faccio di solito…. Avrebbe capito meglio e non si sarebbe sentita in colpa. Quando mi sono calmata, lei mi ha chiesto scusa, io le ho risposto che dovevo chiederle io scusa ed ho cercato di farle capire il mio disagio, che non doveva sentirsi in colpa, che la prossima volta doveva avere più pazienza. Io nel frattempo ho capito come organizzarmi, ho trovato un mio metodo per poterla aiutare. Così abbiamo ripetuto più volte l’esercizio senza alcun problema ed abbiamo affrontato, con leggerezza, anche la seconda lista di parole.
Sdrammatizzare va bene, rompe l’imbarazzo e fa vivere con più leggerezza una situazione pesante. Ciò che non va bene è la frecciatina cattiva, è lo sminuire i sentimenti e le difficoltà oggettive di chi ha un disturbo specifico dell’apprendimento (o di qualsiasi altra condizione di difficoltà e disagio).
Desidero raccontarti alcuni trucchi che mi sono inventata per contenere i miei errori e per poter studiare.
Scrivere di getto un tema senza preoccuparmi degli “orrori” ortografici. Dopo aver finito la mia composizione provo a liberare la mia mente, solo per pochi minuti, e farla volare verso un bel momento passato o ad un avvenimento che aspetto con trepidazione. Rileggere il tema dall’ultima alla prima parola, in modo da concentrarmi solo sull’ortografia, cercare sul vocabolario ogni parola contenente la “S” la “Z” la “Q” o “CQ” “LI” o “GLI” dubbie. Rileggere tutto dall’inizio alla fine, fare un respiro profondo e trovare il coraggio di consegnare.
Per studiare, leggere e riassumere per iscritto, leggere ancora e fare un riassunto ancora più breve, fino a quando non riesco a riassumere il tutto circoscrivendo poche parole chiave relazionate tra loro da frecce. Capire, valutare e soppesare ogni parola del testo.
Davanti alla tassonomia, usare colori diversi riportati in uno schema per sapere immediatamente e visivamente se ho a che fare con famiglie, sottofamiglie, ordini….
Non affidarsi mai alla memoria, ma al ragionamento.
Legare i numeri (ma questo è spesso difficile da realizzare) a date che hanno un valore emotivo es. compleanni.
L’ortografia di alcune parole comuni legarle ad altre parole, es. forza (lettera difficile “Z”) la “Z” ha un suono forte richiama la forza, forse (lettera difficile “S”) forse vuol dire incerto “S” ha un suono meno forte della “Z” incerto allora serve la “S”, senso (lettera difficile “S”) lo associo a sesso, la “S” diventa sensuale sinuosa.
Scrivere in stampatello, mi obbliga ad essere più precisa, riesco a leggerci meglio e a renderlo comprensibile anche agli altri. Non so il perché, ma riesco meglio a contenere anche i miei errori ortografici, che comunque abbondano, soprattutto in condizioni di forte stress emotivo (meno sotto stress fisico).
Essere DSA lasciati a se stessi vuol dire avere un percorso duro e molto lacunoso, ma nonostante ciò la mia condizione non mi ha tolto la “fame di conoscere”, l’amore per lo studio e la curiosità per la vita.
Non mi ha tolto la capacità di emozionarmi davanti ad una poesia.
Non mi ha tolto l’amore per la Tavola Periodica (ne’ per Quella di Mendeleev, ne’ per quella di Primo Levi). Non mi ha tolto l’amore per la lettura e la scrittura. Della lettura e della scrittura, anche se non ne possiedo l’automatismo, ne ho conquistata tutta la loro forza.
Nella lettura e nella scrittura ho trovato una forza vitale, questo è uno dei paradossi della mia vita.
La mia infanzia è stata caratterizzata dalla solitudine e dall’insicurezza. La lettura, e, in certi casi, la scrittura sono state, insieme all’amore incondizionato della mia famiglia, la mia salvezza.
A ciascuno il suo metodo d’insegnamento, a ciascuno il suo metodo per apprendere, in uno scambio reciproco tra Maestro e Allievo fino a diventare l’Allievo Maestro ed il Maestro Allievo.
Manuela
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