A scuola, in famiglia, nel contesto sociale e anche nel judo il temuto "non ce la faccio" dell'adolescenza arriva.
Il bambino inizia il judo, cresce, diventa ragazzino, cresce ancora ed eccolo adolescente. Il suo primo significativo passaggio e compito di crescita: l'adolescenza. Fase del ciclo di vita alla quale si approda con le esperienze, le consapevolezze, le sicurezze e gli insegnamenti acquisiti da bambino.
Essere adolescente significa sentirsi diversi, significa assumersi responsabilità, lavorare di più, decidere "cosa farò da grande", sperimentare legami più intimi, trovare autonomia. Compiti complessi che non sono supportati da una società che poco spinge a vedere "un pò più in là" di oggi.
Con l'adolescenza cambia non solo la percezione di sè del proprio corpo e delle proprie emozioni, ma cambia anche la percezione degli altri, di tutto ciò che circonda il proprio mondo. Si desidera quello che non si poteva avere prima e allo stesso tempo non si vuole lasciare quello che si ha. Cambiano la qualità e l'intensità delle difficoltà, cambia la visione del futuro, nascono domande su domande e la famiglia - fino a quel momento vista e vissuta come fonte di supporto - diviene tante volte il primo elemento da cui volersi ribellare.
Ebbene, come si inserisce il judo in questa fase cosi' delicata?
Davanti alle prime sconfitte in gara il ragazzino inizia a preferire il primo amore, fonte di spensieratezza e di attenzione unica. Ai viaggi e al rigore alimentare inizia a scegliere allegre uscite del sabato sera con gli amici. L'accettazione del sacrificio, della disciplina, delle sfide, lascia il passo alla leggerezza del divertimento senza regole, alla vita in attesa del giorno dopo, magari davanti al computer o chattando ore su Wathsup. Segnali tutti di una vicina e prossima scelta di abbandono della pratica sportiva in favore di una completa dedizione al mondo virtuale.
Davanti a queste difficolta', l'insegnamento dei principi del judo fin dalle fasi dell'infanzia rappresenta una guida preziosa capace di scoraggiare le derive adolescenziali e di aiutare il ragazzino a godere in maniera equilibrata delle esperienze di quelle meravigliosa eta'.
Il Maestro di judo insegna pensando che il bambino piccolo sarà l'adolescente di domani che sceglierà in autonomia cosa fare del suo tempo. L'allenamento del corpo affianca da subito l'allenamento e la crescita della mente. Allenando il cervello a crescere si allena la capacità di decidere, di scegliere, di immaginare e sognare futuri obiettivi positivi gratificanti efficaci e funzionali alla vita.
Primo passo dunque e' far capire al bambino che il suo cervello è un muscolo, più lo si stimola, più questo apprende e cresce "forte e abile", migliorando tutto cio' a cui esso e' collegato. È possibile farlo ad esempio utilizzando le metafore o le favole costruite ad hoc. Utilizzando i giochi di ruolo sul tatami che instillino il senso della responsabilizzazione, delle priorita', del rapporto causa effetto tra dedizione ed obbiettivo.
E se poi un domani l'adolescente, formato su quei principi, dovesse mai decidere di lasciare il judo; se mai un domani dovesse lasciare la mano del Maestro, quest'ultimo saprà di avergli dato gli strumenti forti che lo condurranno ad adottare le scelte piu sane ed equilibrate.
Tratto e per gentile concessione della Dr.ssa Loredana Borgogno
Psicologia dello Sport e della comunicazione
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